C’è un giorno, ogni anno, in cui l’Italia si ferma per ricordare la libertà. È il 25 aprile, ed è molto più di una data storica. È un respiro collettivo, un nodo alla gola, una promessa scritta nel tempo: quella di non dimenticare mai che la libertà è un bene prezioso, fragile, e che qualcuno – prima di noi – ha avuto il coraggio di lottare per conquistarla.
Ma oggi, quella parola – libertà – rischia di diventare solo un’eco lontana. Non perché sia scomparsa, ma perché la stiamo dando per scontata. Perché viviamo in un tempo che corre troppo in fretta per fermarsi a sentire, per guardare negli occhi, per ascoltare davvero. Siamo connessi ovunque, eppure sempre più distanti. Più veloci, ma meno profondi. Più pieni, ma meno veri.
E allora mi chiedo: dov’è finita l’empatia? Dov’è finita la solidarietà, il rispetto, la gentilezza? Dove si è nascosta quella voglia di costruire insieme, invece di distruggere a vicenda? Perché oggi, più che mai, il mondo ha bisogno di umanità. Di occhi che non giudicano, ma comprendono. Di mani che non si alzano, ma si tendono. Di voci che non urlano, ma raccontano.
Il 25 aprile non è solo un giorno per commemorare, ma un’occasione per ricominciare. Per fare pace con la memoria e con noi stessi. Per scegliere, ancora una volta, da che parte stare. Perché la libertà non è solo una conquista del passato, è una responsabilità del presente. E ogni volta che scegliamo il rispetto invece del disprezzo, la cura invece dell’egoismo, la verità invece della comoda indifferenza, stiamo continuando quella Resistenza. La nostra.
C’è bisogno di una nuova liberazione. Dalle paure che ci chiudono. Dalle parole d’odio che ci inquinano. Dall’abitudine a non sentire più nulla. Una liberazione che ci riporti a essere umani, davvero. A essere vivi.
E allora oggi, in questo 25 aprile, lasciamo che la parola libertà torni a vibrare. Non come un ricordo polveroso, ma come una scintilla. Viva, urgente, possibile.
Perché la libertà non è un regalo. È una scelta. Ogni giorno.
