Cinque anni fa moriva David Bowie. Un mito senza tempo, che ha fatto sognare intere generazioni e continua come una leggenda.
Quando muore un mito come David Bowie le celebrazioni e le parole di circostanza sono dietro l’angolo. Il rischio è sempre quello di essere banali, di dire cose davvero non necessarie. A due anni dalla scomparsa del Duca Bianco, una delle cose che mi ha colpito di più è che ho ritrovato, nelle parole di colleghi, addetti ai lavori e gente comune di tutto il mondo, la stessa idea indissolubile: nessuno, ma proprio nessuno, ha potuto, neanche solo per un attimo, contestare ciò che Bowie ha fatto e ha significato per intere generazioni. Tutti concordi nel riconoscerne l’intelligenza, il talento travolgente che sembrava davvero arrivato da un altro pianeta come Ziggy Stardust.
David Bowie ha vissuto la sua arte a tutto tondo, è stato primo attore sempre, portando in scena ogni volta una parte nuova di se stesso. E tutto era utile per ricostruire l’essenza della sua anima. Ha avuto la forza, nonostante la brutta malattia ormai avanzata, di registrare un capolavoro come Blackstar, un testamento spirituale che commuove per la sua fierezza, per la voce sicura e dolce allo stesso tempo, per i testi che sembrano essere un lungo, struggente addio, parola dopo parola. Nessuno, se non le persone più vicine a David, sapevano del male che lo affliggeva ormai da molti mesi. E davvero nessuno poteva aspettarsi che, ad appena due giorni dalla pubblicazione del disco, avvenuta il giorno del suo 69esimo compleanno, ci avrebbe lasciato per sempre.
Sembrava un copione anche quello, tutto così drammaticamente perfetto, che in molti avranno pensato ad un scherzo di cattivo gusto. Una carriera luminosa iniziata nei primi anni ’70, dopo esperienze in varie band. Era curioso, con lo sguardo sempre vivo sul mondo, e tutto questo lo ha riversato nella sua musica. Ha giocato sulla sua immagine spesso ambigua, ammettendo e smentendo più volte prima la sua omosessualità, poi la sua bisessualità, chiudendo il tutto con una risata e dicendo, in un’intervista del 1987 a Smash Hits che “non dovete credere a tutto ciò che leggete”.
Ma questi giochi con i giornalisti non hanno di certo messo in discussione l’aspetto artistico. David Bowie ha rivoluzionato, e possiamo dirlo senza esagerare, la scena rock e musicale mondiale e non credo che qualcuno possa essere equiparato a lui. Può essere amato oppure odiato, ma credo sia indiscutibile la sua unicità. I suoi ultimi video, Blackstar e Lazarus, sono come piccoli film, che però più che un addio, sembrano quasi un arrivederci. Proprio i video sono parte fondamentale dell’opera di Bowie (ne ha girati ben 71) ed è stato un vero pioniere anche in questo campo (il suo primo videoclip promozionale fu quello di Space Oddity del 1972, ma già nel 1969 aveva registrato video sufficienti per un lungometraggio). Un genio del racconto che ha anticipato le tendenze di ogni epoca, attraverso gli abiti assolutamente singolari ma soprattutto la musica. Le etichette più convenzionali lo vogliono inventore del glam rock, ma non le ha mai amate.
Ha reinventato se stesso mille volte attraverso degli affascinanti alter ego, ognuno con un’anima ben definita: Ziggy Stardust, Halloween Jack, The Thin White Duke, Nathan Adler. Ed infine, ha impersonato una Blackstar, una stella nera ma luminosissima. Come dicevo, tutto però è sempre stato finalizzato a rappresentare se stesso, ciò che gli sarebbe piaciuto essere, o ciò che non sopportava. Dall’aspetto più glam e punk di Ziggy fino alla finezza di ghiaccio del Duca Bianco, tutto in una sola persona. La bellezza dell’arte di Bowie, per me, risiede in questo: non si riesce ad inquadrarla, non esiste un solo modo per vederla, ed è arte a 360 gradi. E credo sia questo che manca di più e sempre mancherà: il modo di Bowie di creare, la sua visione delle cose.
Dopo la sua morte, la famiglia di David Bowie ha rispettato la sua immagine fino in fondo, pensando soprattutto alla privacy e a ciò che lo stesso David avrebbe voluto. Ed è una cosa davvero rara, nel mondo dello spettacolo. Per una volta, l’arte ha prevalso sul resto. Una morte annunciata in un disco che è il canto del cigno di una mente straordinaria, l’ultimo atto prima che il sipario cali per sempre. E a noi, resta la dolce malinconia di sapere che nemmeno la morte può vincere sull’arte.
Quando muore un mito come David Bowie le celebrazioni e le parole di circostanza sono dietro l’angolo. Il rischio è sempre quello di essere banali, di dire cose davvero non necessarie. A due anni dalla scomparsa del Duca Bianco, una delle cose che mi ha colpito di più è che ho ritrovato, nelle parole di colleghi, addetti ai lavori e gente comune di tutto il mondo, la stessa idea indissolubile: nessuno, ma proprio nessuno, ha potuto, neanche solo per un attimo, contestare ciò che Bowie ha fatto e ha significato per intere generazioni. Tutti concordi nel riconoscerne l’intelligenza, il talento travolgente che sembrava davvero arrivato da un altro pianeta come Ziggy Stardust.
David Bowie ha vissuto la sua arte a tutto tondo, è stato primo attore sempre, portando in scena ogni volta una parte nuova di se stesso. E tutto era utile per ricostruire l’essenza della sua anima. Ha avuto la forza, nonostante la brutta malattia ormai avanzata, di registrare un capolavoro come Blackstar, un testamento spirituale che commuove per la sua fierezza, per la voce sicura e dolce allo stesso tempo, per i testi che sembrano essere un lungo, struggente addio, parola dopo parola. Nessuno, se non le persone più vicine a David, sapevano del male che lo affliggeva ormai da molti mesi. E davvero nessuno poteva aspettarsi che, ad appena due giorni dalla pubblicazione del disco, avvenuta il giorno del suo 69esimo compleanno, ci avrebbe lasciato per sempre.
Sembrava un copione anche quello, tutto così drammaticamente perfetto, che in molti avranno pensato ad un scherzo di cattivo gusto. Una carriera luminosa iniziata nei primi anni ’70, dopo esperienze in varie band. Era curioso, con lo sguardo sempre vivo sul mondo, e tutto questo lo ha riversato nella sua musica. Ha giocato sulla sua immagine spesso ambigua, ammettendo e smentendo più volte prima la sua omosessualità, poi la sua bisessualità, chiudendo il tutto con una risata e dicendo, in un’intervista del 1987 a Smash Hits che “non dovete credere a tutto ciò che leggete”.
Ma questi giochi con i giornalisti non hanno di certo messo in discussione l’aspetto artistico. David Bowie ha rivoluzionato, e possiamo dirlo senza esagerare, la scena rock e musicale mondiale e non credo che qualcuno possa essere equiparato a lui. Può essere amato oppure odiato, ma credo sia indiscutibile la sua unicità. I suoi ultimi video, Blackstar e Lazarus, sono come piccoli film, che però più che un addio, sembrano quasi un arrivederci. Proprio i video sono parte fondamentale dell’opera di Bowie (ne ha girati ben 71) ed è stato un vero pioniere anche in questo campo (il suo primo videoclip promozionale fu quello di Space Oddity del 1972, ma già nel 1969 aveva registrato video sufficienti per un lungometraggio). Un genio del racconto che ha anticipato le tendenze di ogni epoca, attraverso gli abiti assolutamente singolari ma soprattutto la musica. Le etichette più convenzionali lo vogliono inventore del glam rock, ma non le ha mai amate.
Writer:
Gabriella Chiarappa
Salve sono una manager esperta in comunicazione, che punta sull’innovazione e la ricerca, il mio settore è legato alla sfera moda anche se la mia cultura e il mio spirito di osservazione mi portano ad avere sfaccettature che sinergicamente si avvicinano all’arte, alla musica e a tutto ciò che svela la nuova tendenza. Adoro il mondo del Fashion che coltiva la cultura e le tradizioni: incantata dalla genialità di un Alexander McQueen e dall’eleganza innovativa di un Jean Paul Gaultier. Sono una sognatrice autentica che crede che le passioni sono l’alimento per concretizzare i sogni, amo viaggiare,visitare musei, conoscere e documentarmi sempre….